«Calciatori si diventa, portieri si nasce*». Il portiere non segna i goal, sta lì per impedire che vengano fatti. Vulnerabile, privo di alibi, e quindi sempre soggetto a critiche. È un giocatore diverso dagli altri, non solo perché indossa una maglia differente da tutte le altre e non solo perché usa le mani al posto dei piedi. Deve avere la fiducia e il rispetto dai propri compagni, deve dimostrare e dare sicurezza, deve allenare scrupolosamente il fisico e il sistema nervoso, perché essere scattante e reattivo, avere prontezza e riflessi, saper uscire dai pali e aver senso della posizione, possedere ottima presa e buona impostazione tecnica, non basta. Ci vuole di più. E questo qualcosa in più ce l’ha sicuramente il nostro Federico Taborda.
Il numero uno rossoblù, assieme ai suoi compagni, si sta rendendo protagonista di una stagione incredibile, ai limiti della perfezione. A suon di parate, leadership e gestione della squadra nei momenti difficili, Federico Taborda si sta imponendo come uno dei senatori dello spogliatoio. Anche perché l’estremo difensore argentino, seppur appena 29enne, è il giocatore più “vecchio” della squadra.
Persino nel pokerissimo di domenica contro la Leonessa Montoro, Taborda ha avuto modo di entrare con merito nella cronaca della partita con una parata spartiacque ad inizio secondo tempo, quando il risultato era ancora sul 2-0. Se il numero uno non avesse ipnotizzato Binci, lanciato in solitaria verso la porta rossoblù, la partita avrebbe potuto prendere altre pieghe. Una parata fondamentale ai fini del risultato, che ha tolto qualsiasi speranza di rimonta ai red lions di mister Moschini.
Federico, partiamo da qui, dalla splendida e decisiva parata di domenica. Ce la racconti? Istinto, fortuna o talento? «Credo sia stato istinto. Ho cercato di andare incontro all’attaccante avversario per chiudergli il più possibile lo specchio della porta e fortunatamente ce l’ho fatta. E’ stata una parata molto importante e che mi ha dato grande soddisfazione perché la partita era tutt’altro che chiusa. Non è semplice rimanere concentrato per tutta la partita quando ricevi pochi tiri ma è quello che cerco di fare. Il mio obiettivo è farmi trovare pronto quando la squadra ha bisogno di me».
Che sensazioni hai per la trasferta di domani a Montecosaro? «Sarà una partita difficile, ma credo che siamo pronti per affrontarla al meglio. Dobbiamo chiudere l’anno nel migliore dei modi. Abbiamo soltanto due punti di vantaggio nei confronti del Valdichienti Ponte e dobbiamo difenderli a tutti i costi. Prima della pausa il calendario ci metterà difronte due trasferte complicate. L’obiettivo è vincerle entrambe per consolidare la vetta».
Tu che hai avuto tante esperienze calcistiche come ti stai trovando a Civitanova? «Sto molto bene. La città è fantastica e i tifosi ci stanno vicino e ci sostengono anche in trasferta. Qui si respira calcio 24 ore su 24 e a noi calciatori piace questo clima, ci fa sentire importanti».
La squadra ha ancora margini di miglioramento? «Credo proprio di sì. Attualmente vedo una squadra che fa la partita ma secondo me non siamo ancora arrivati al nostro massimo. Questo mi fa immaginare un finale a lieto fine. Quando c’è un grande gruppo tutto è più facile e noi lo abbiamo. Siamo sulla strada buona per centrare l’obiettivo».
Come giudichi sin qui l’operato della società? «In maniera positiva. Io e i miei compagni stiamo molto bene perché la società ci tratta come figli e non ci fa mancare nulla. Ci sentiamo davvero a casa. La società trova una soluzione a qualsiasi nostra necessità . C’è un bel clima, speriamo di continuare così».
Come ti trovi con mister Nocera? «Troppo bene perché è un mister con tanta esperienza. Per noi che non abbiamo grandi trascorsi in Italia è ideale. Ci da molti consigli su come giocare e ci rende le cose più semplici. La sua figura è molto importante per tutta la squadra».
Qual è il segreto di questa super stagione? «Meno che col Valdichienti abbiamo dimostrato in tutte le partite una grande intelligenza nel sapere giocare tutti i momenti della gara. La qualità è importante, ma non basta. Per vincere serve un grande Q.I. calcistico. Anche perché tutte le squadre, quando ci incontrano, ci mettono sempre quel qualcosa in più».
Il tuo pronostico per la stagione? «Credo fortemente nella vittoria del campionato, altrimenti non sarei qui».
Soltanto 4 goal subiti, merito tuo o della squadra? «Merito di tutta la squadra. Il segreto è il pressing con cui aggrediamo i nostri avversari e che tutti i miei compagni interpretano al meglio. La loro bravura mi permette di correre meno pericoli. Per non parlare dei due centrali Muraro e Monserrat che sono davvero insuperabili».
Raccontaci, come sei diventato portiere? «Quando ero piccolino giocavo come 9. Ero un attaccante centrale e facevo anche parecchi goal. A 13 anni ho iniziato a stare in porta perché si è infortunato il portiere della squadra. A me piaceva, il mister mi ha dato l’ok e da lì è iniziata la mia carriera da portiere e ne sono felicissimo».
Dino Zoff sostiene che «Il portiere impregna di personalità tutta la squadra». Sei d’accordo con questa affermazione? «Si sono d’accordo perché il portiere è colui che dà sicurezza al reparto difensivo e di conseguenza a tutta la squadra. A mio avviso inizia tutto dalla propria porta e poi si contagiano gli altri reparti».
A quale portiere ti ispiri? «Rulli, il portiere argentino del Real Sociedad. Ma l’idolo rimane Buffon, una vera e propria leggenda vivente. Un punto di riferimento per tutta la categoria oltreché un esempio al di fuori dal campo».
*citazione del libro di Giampaolo Santoro “La solitudine dei numero uno”.